Intervista al vescovo Mons. Mana sulla Koinonia Giovanni Battista

Durante l’ultimo numero del periodico “il KeKaKò”, notiziario degli eventi della Koinonia Giovanni Battista da tutto il mondo, Nicola Scopelliti, direttore responsabile, ha intervistato il vescovo di Biella, Mons. Gabriele Mana, ponendo domande e questioni relative alla vita, inserimento e collaborazioni della Koinonia nella sua diocesi. Ecco di seguito l’intervista:

«Ho accolto nella mia diocesi la Koinonia Giovanni Battista perché ho visto, per suo mezzo, tanti buoni frutti». Gabriele Mana, vescovo di Biella, parla con voce calma. Da poco ha festeggiato i cinquant’anni di sacerdozio. È un uomo semplice, diretto. Lo raggiungiamo utilizzando skype. Volevamo capire perché otto anni fa, primo vescovo in Italia, ha voluto affidare la gestione della parrocchia della Natività di Maria di Strona, ai sacerdoti della Koinonia Giovanni Battista.
«Da anni, in quella zona pastorale del Cossatese – dice – è presente una comunità di laici che segue il carisma di Giovanni Battista. D’accordo con l’allora parroco, ho deciso che fosse utile e opportuno accettare in quel luogo la Koinonia. Ho visto in loro i frutti buoni e la stima che circondava quei laici. Ogni tanto veniva un sacerdote per la formazione. Ho riscontrato in loro una vasta conoscenza biblica e un grande amore per la Chiesa, oltre ad un impegno costante di servizio nella parrocchia».

Questi elementi sono stati, dunque, sufficienti per accoglierli ufficialmente?
«Ho accolto la Koinonia a una condizione: che assumesse l’incarico di gestire una parrocchia».

Perché?
«Per evitare che l’evangelizzazione che portavano avanti fosse un cammino parallelo a quello delle parrocchie e che non si creassero in seguito delle difficoltà».

Che tipo di complicazioni intravvedeva?
«Avvertivo il rischio di una comunità, che impegnata in una grande opera di evangelizzazione, mettesse in secondo piano quanto prevedeva la pastorale ordinaria e territoriale delle parrocchie».

Dunque, fu lei a chiedere un pieno coinvolgimento alla Koinonia?
«Ho chiesto a padre Alvaro, il loro pastore generale, che venissero nella mia diocesi prendendo pieno possesso di una parrocchia, ma da pochi mesi se ne è aggiunta una seconda».

Per quale motivo?
«In modo che facessero il cammino di evangelizzazione secondo il loro carisma, ma nel medesimo tempo assicurassero la cura pastorale di una parrocchia, dove si esige l’attività dell’oratorio, del centro estivo, corsi di catechesi, prime comunioni, cresime e la cura dei malati. Solamente così si fugava quel rischio di parallelismo, che avrebbe provocato contrasti e gelosie».

È stata una carta vincente?
«Direi proprio di sì. Penso, che alla luce di quanto sia accaduto in questi anni, siamo tutti soddisfatti: la Koinonia stessa da una parte ed io, come vescovo, dall’altra».

E il suo clero come ha reagito?
«L’accoglienza della Koinonia Giovanni Battista nella diocesi di Biella è avvenuta con il consenso degli organismi diocesani. Non è stata solo una mia iniziativa. Qualcuno inizialmente ha manifestato qualche riserva. Soprattutto, in riferimento a quanto era stato pubblicato su internet, che spesso è un veicolo, per ora impunito, di tante diffamazioni e calunnie. E le chiacchiere sulla Koinonia non erano sempre positive. Nel complesso il benvenuto, però, è stato cordiale e con il passare degli anni devo dire che i miei sacerdoti hanno accolto favorevolmente il cammino koinonico. Questo è anche merito dei sacerdoti della Koinonia. Prima con padre Adriano e ora con padre Luca e padre Mirco. Essi sono parte integrante e attiva della nostra Chiesa diocesana e la comunità dei fedeli li ha accolti a braccia aperte».

Padre Mirco è il primo sacerdote della Koinonia incardinato in diocesi?
«È proprio così. Esiste una convenzione che gli riconosce la doppia appartenenza. Un doppio legame che non è un impoverire l’una o l’altra posizione, ma è un arricchimento vicendevole».

La presenza della Koinonia, dunque, non crea alcun problema alla sua diocesi?
«No, assolutamente! Anzi. È una grande risorsa e una benedizione del Signore. Una vera grazia».

Papa Francesco ha detto che i carismatici sono una “corrente di grazia nella Chiesa e per la Chiesa”.
«E ha detto molto bene. Va messo in evidenza, però, che i gruppi carismatici sono tanti. Fondamentale è non essere narcisisti, autoreferenziali. Quando si riceve un dono dal Signore, questo va messo a disposizione di tutti per non delegittimare gli altri doni. I carismi convergono verso la comunione, si completano a vicenda. È importante cercare l’unità perché questa viene dallo Spirito Santo».

Eccellenza, perché molti suoi confratelli nell’episcopato rifiutano la Koinonia Giovanni Battista?
«Innanzitutto devo dire che nelle nostre diocesi ci sono forme di comunità carismatiche che sono riconosciute a pieno titolo. Come ad esempio il Rinnovamento nello Spirito Santo. Nel caso specifico della Koinonia Giovanni Battista c’è una storia che ha qualche ombra. Qualche incomprensione. Bisogna comunque camminare guardando avanti…»

Voltare pagina, guardare oltre…
«Dice bene. Bisogna vedere sempre il bene, anche se nel passato c’è stata una piccola oscurità. La storia ci aiuta a purificare tutte le ombre».

Bisogna fare un atto di fiducia…
«Certamente, e ho detto alla mia carissima comunità della Koinonia: rispettate tutte le forme di preghiera presenti in parrocchia. Anche con i canti e la musica. Infatti, nella loro parrocchia si celebra una messa con i canti, cosiddetti tradizionali, e un’altra messa, invece, più tipicamente carismatica. Così è rispettata la sensibilità di tutti. Bisogna dire, però, che qualche sbavatura la troviamo anche in alcuni gruppi carismatici…»

Vuole fare qualche esempio?
«La preghiera di guarigione è un’implorazione, non va dichiarata. È necessario, dunque, avere qualche accortezza in più, per quanto riguarda le espressioni interiori. Per quanto concerne poi le manifestazioni di apparizioni, penso che sia importante essere molto saggi e prudenti. Devo però anche ammettere che c’è qualche difficoltà in genere nell’accettare i gruppi carismatici. Quello che mi dispiace – e lo dico anche con un po’ di amarezza – è assistere al piattume di tante celebrazioni. Cerimonie religiose piatte, fatte di abitudini senza nessuna partecipazione del cuore…».

Mera consuetudine…
«Proprio così. Su queste funzioni non ci sono riserve. È quasi scandalizzante. Invece, si mettono dei paletti su certe forme in cui c’è il coinvolgimento totale nella preghiera».

Eccellenza, oggi la gente sembra smarrita. Molti si allontanano dalla Chiesa. La Koinonia che ruolo può avere in questo contesto storico-ecclesiale?
«La caratteristica speciale della Koinonia è l’avvicinamento dei cosiddetti lontani. Nessuno, però, è lontano da Dio. Direi che il processo di secolarizzazione è, purtroppo, irreversibile. Spetta a noi arginarlo e fermarlo. Dobbiamo essere fermento. Lievito…».

La parabola del grano e della zizzania è molto attuale.
«Esatto. Sappiamo che il campo è il mondo. Ma perché Gesù dice che non bisogna estirpare la zizzania? Non solo perché si rischia di sradicare il buon grano, ma perché noi, tutti noi, dobbiamo credere – e questo vale innanzitutto per me – che la zizzania diventerà grano. Uno dei compiti della Koinonia è, appunto, far sì che la zizzania diventi un buon grano».

Si può parlare, per la nostra società, di una crisi della fede?
«Sì e la fede oggi dev’essere maggiormente motivata. Non può essere piatta. Arida. Poi ci sono varie forme per vivere la fede. Oggi in Occidente la fede è razionale; in Oriente è più contemplativa. Dovrebbe esserci uno scambio di doni. La crisi della fede può diventare un’opportunità per motivare di più il nostro essere cristiani, attraverso la consapevolezza dell’amore che Dio ha per noi».

I membri della Koinonia hanno un’intensa vita di preghiera. Sia a livello personale che comunitario. Si può parlare di “contagio spirituale”?
«Sicuramente. Direi che tutto il progetto di vita della Koinonia è esigente e gioioso. Oltre alla preghiera sia individuale che comunitaria, nella loro vita quotidiana c’è anche il lavoro e il digiuno. Hanno un programma di vita che tiene assieme tutti gli aspetti della fede. Ritengo quindi che la Koinonia Giovanni Battista potrà essere sicuramente di aiuto sia ai giovani e non solo. In loro vedo quella complementarietà vocazionale che c’è nella Chiesa. La Chiesa deve essere un’iride, dove i vari colori sono i tanti carismi».

Eccellenza, non crede che sia giunto il momento che la Conferenza episcopale italiana sdogani la Koinonia?
«Penso che sarebbe bello, non soltanto in ambito italiano, ma a livello universale. Io me lo auguro. Da parte mia lo favorisco in tutti i modi».

La Koinonia ha festeggiato i quarant’anni dalla fondazione. Come vede il suo futuro?
«Deve rimane sé stessa secondo il dono ricevuto. Cammin facendo, semmai, potrà o dovrà modificare qualche intemperanza. Ma questo è già avvenuto e avverrà. Perché quando si vive all’interno della maternità della Chiesa, questa, essendo una buona madre, li guiderà e li aiuterà a crescere».

Qualche consiglio?
«Stare con la Chiesa. Non solo nella Chiesa generica, ma in quella particolare. Essere uniti al vescovo e lui unito a loro. Il vescovo li deve accogliere, accompagnare. Correggerli quando è necessario. Loro devono avere un grande amore per la Chiesa particolare e per il loro vescovo. Questo a Biella, mi pare, che già avvenga. Ringrazio il Signore».

Nicola Scopelliti